GIULIO REGENI E IL RICHIAMO DELL’AMBASCIATORE IN ITALIA

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Il richiamo dell’ambasciatore in Italia rappresenta una misura estrema e non cauta a fronte della strafottenza egizia sul caso di Giulio Regeni. Ho l’impressione che la Farnesina sia afflitta da un algoritmo determinato da fattori impropri, che vanno da quelli emotivi, a quelli politici interni, a quelli economici. Dunque, mi chiedo, perchè si sia usato il guanto di velluto con gli indiani, che tengono da oltre quattro anni in ostaggio Salvatore Girone. Chiederei spiegazioni sui pasticci compiuti dal capo del Governo di allora, Mario Monti. Ma per capire meglio di cosa stiamo parlando, vi propongo un riepilogo esemplificativo di quei fatti cruciali, da un punto di vista diplomatico: 11 marzo 2013 – Il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, annuncia a nome del Governo che i fucilieri non faranno ritorno in India. Il Ministero degli Affari Esteri, in un comunicato stampa, motiva la decisione con la mancata risposta del governo indiano alla proposta formale italiana di avviare “un dialogo bilaterale per la ricerca di una soluzione diplomatica del caso” anche attraverso un arbitrato internazionale o una soluzione giudiziaria. Secondo il comunicato, la proposta era stata effettuata a seguito della decisione della Corte Suprema indiana del 18 gennaio 2013 di respingere il ricorso italiano circa la carenza di giurisdizione indiana sulla vicenda dei due marò.
14 marzo 2013 – Il governo indiano, come ritorsione verso l’Italia, limita la libertà personale dell’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini, prendendo misure volte a impedirgli di lasciare il paese.
18 marzo 2013 – La Corte Suprema indiana decide di non riconoscere più l’immunità diplomatica all’ambasciatore Mancini ed estende “fino a nuovo ordine” la limitazione impostagli di non lasciare l’India. L’Italia accusa l’India di “evidente violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche”.
20 marzo 2013 – I due sottufficiali sono indagati dalla Procura militare di Roma per “violata consegna aggravata” e “dispersione di armamento militare”. Le indagini sono volte ad accertare se i due marò abbiano violato le regole d’ingaggio nella vicenda dell’uccisione dei due pescatori indiani.
21 marzo 2013 – Un Comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri annuncia che i fucilieri torneranno in India, dato che l’Italia ha avuto garanzie circa la non applicabilità della pena di morte agli imputati.
22 marzo 2013 – I fucilieri arrivano in mattinata in India, l’ultimo giorno di scadenza del permesso; sono accompagnati dal sottosegretario Staffan de Mistura e prendono alloggio nell’Ambasciata italiana di Nuova Delhi. Il ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid assicura che non sarà applicata la pena di morte. L’Alta Corte di Nuova Delhi, in accordo con il Ministero della Giustizia indiano, emana l’ordinanza per la costituzione della Corte Speciale, come stabilito nella sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio 2013 e dopo le accuse di ritardo rivolte al governo indiano da parte della stessa Corte Suprema.
23 marzo 2013 – Il ministro della Giustizia indiano, Ashwani Kumar, in un’intervista afferma che non è stata data alcuna garanzia sulla non applicazione della pena di morte al governo italiano, ma si è solo limitato a spiegare che per un caso come quello dei marò italiani in India non è prevista la pena capitale; il sottosegretario Staffan de Mistura ribadisce che il governo indiano ha fornito all’Italia un’”assicurazione scritta ufficiale” attraverso il proprio ministro degli Esteri sulla non applicabilità della pena di morte nei confronti dei due fucilieri. Il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, dichiara che «non c’è stato nessun accordo, né ci sono state garanzie» nei colloqui fra i due governi volti a permettere il ritorno dei marò in India: il governo indiano ha solo fornito all’Italia “chiarimenti” frutto del lavoro di esperti in diritto sulla non applicabilità della pena di morte.
25 marzo 2013 – Viene costituita a Nuova Delhi la Corte Speciale che dovrà giudicare i due marò e che sarà presieduta da un “magistrato capo metropolitano” il quale, in base ai commi 1 e 4 dell’articolo 29 del Codice di procedura penale indiano, può infliggere “ogni sentenza consentita dalla legge eccetto la pena di morte, l’ergastolo e l’imprigionamento per un periodo eccedente sette anni”.
26 marzo 2013 – Il Ministro degli Esteri Giulio Terzi annuncia in Parlamento le sue dimissioni irrevocabili in polemica con la decisione del Governo di rimandare i Marò in India.