Primo Nebiolo, cento anni di storia, la FIDAL. Come nacque quella Presidenza

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(Ruggero Alcanterini – Spiridon – numero speciale del 5 luglio 2023)

Tutto nacque da antefatti che mi portarono a frequentare il CUSI, dal 1962, come giovane di segreteria, reclutato al CUS Roma da Vincenzo Vittorioso. Negli uffici di via Filippo Corridoni passava quel che rimaneva del GUF, allignava il genio sportivo della goliardia e vi conobbi antiche matricole e maturi plurilaureati, uomini non comuni, tutti forgiati nella trasmutazione avvenuta negli anni Quaranta e Cinquanta.

Intendo dei successori di Mario Saini, Marcello Garroni e del rifondatore Renzo Nostini, ovvero di Lojacono, Nebiolo, Pettinella, Civelli, Scarpiello, Primavori, Melissano, Tarasconi, Merola e poi Cornini, Melai, Bevilacqua, Coiana… Io mantenevo un trend fuori dell’ordinario, una gavetta tra RAI, Agenzia Italia, Gazzetta dello sport, Atletica, CUS Roma, AICS, Selesport, la magnifica iniziativa settimanale di Giuseppe Sabelli Fioretti sulle cui pagine incrociai Augusto Frasca… L’atmosfera post olimpica, la voglia di crescere e cambiare andava contaminando positivamente i giovani, anche nello sport e nel giornalismo. Giovani, ma pure meno giovani, con una escursione temporale di una ventina d’anni, giusto quella che consentì mettere insieme energie ed esperienze che tra il 1966 e il 1969 finirono per far lievitare un progetto dedicato all’atletica italiana, un movimento che assunse il nome di Rinnovamento come bandiera ideale e come obiettivo pratico. 

Aderirono personaggi di riferimento come Alfredo Berra, Romolo Giani, Danilo Montanari, Giampiero Casciotti, Marcello Pagani, Renato Tammaro e al contempo giovani come il sottoscritto, Luciano Barra, Augusto Frasca, Giampaolo Lenzi, Gianni Galeotti, Totò Gangeri, Giuseppe Mastropasqua e tanti altri quadri attivi tra il mondo federale e la promozione sportiva, e pure del giornalismo, tra cui si distinguevano Vanni Lòriga Careddu sul Corriere e Gianni Romeo su Tuttosport.

La componente culturale emergente premeva con successo, stante il venir meno della sponda fondativa con la scomparsa nel 1963 di Bruno Zauli, il permanere del “reggente” Gaetano Simoni e la fuoriuscita nel 1967 dello stesso Oberweger, quindi con la sostanziale riduzione del manipolo di veterani rimasti attorno alla figura dignitosa del Capitano Giosuè Poli, al vice Brunori, al consigliere Stassano, a funzionari e incaricati di lungo corso, Ottaviano Massimi, Andrea Sandonnini e Alfonso Castelli…

Le riunioni, prima carbonare, nel 1967 e poi nel 1968, in vista delle scadenze congressuali, presero visibilità con una presa d’atto dei media, che pure sottolineavano come il moto rivoluzionario mancasse di una sintesi fondamentale che lo rappresentasse, ovvero di un candidato alla presidenza degno di un cotanto empito sovvertitore della storia pregressa, da Arpinati, Turati, Ridolfi e Zauli. 

Per questo, ormai sul finire del 1968, dopo l’ennesima critica di inadeguatezza da parte di Stadio, quotidiano bolognese, per firma di Luigi Vespignani, a fronte di riserve mai sciolte da Berra, Giani, Montanari, si pensò a Pasquale Stassano, il più vicino a Zauli in vita, possibile soluzione di compromesso, ferma restante l’idea di provvedere ad un robusto ricambio di programmi e uomini per la FIDAL degli anni Settanta. Fui io ad essere incaricato della missione diplomatica, viste le frequentazioni mediatiche che avevo con il personaggio.

Lo incontrai al terzo piano del Palazzo delle Federazioni in viale Tiziano, nella sua piccola stanza, per spiegargli come la scelta che lo riguardava rivestisse una importanza fondamentale, ovvero di considerarlo il giusto garante tra passato e futuro. Devo dire che Stassano, con una espressione che non nascondeva tuttavia compiacimento, ma anche imbarazzo e tristezza, non ebbe esitazioni nel diniego. 

Lui poi avrebbe finito drammaticamente il suo percorso di vita nel marzo del 1972, senza manifestare il disagio esistenziale che lo minava. Il Rinnovamento andava frattanto avanti, sino al traguardo definitivo, partendo da una riunione a Reggio Emilia, in 6occasione di uno dei primi eventi indoor della storia. Ecco, quel passaggio , quel tentativo respinto da Stassano, fu l’elemento scatenante di una mia scelta d’istinto, una delle diverse che contraddistinsero anche il 1969, un anno per me di una intensità senza pari, un crinale lungo il quale immaginai con fortune successive alterne molto del mio e dell’altrui futuro. Nel 1968, il Congresso del CUSI si tenne all’Aula Magna dell’Acquacetosa dove, senza consultarmi con alcuno e senza preavviso, andai a cercare Primo Nebiolo. 

Ma perché proprio Primo Nebiolo? Perché nella mia testa lui era l’uomo che aveva tutta l’energia trasgressiva e l’ambizione oltre ogni limite, necessarie per rompere gli schemi, quel diaframma di antica nobiltà che imprigionava la regina degli sport e la relegava ormai a un ruolo inadeguato, fatto di memorie anche per i vessilliferi di borgata. Lui, il naif più in alto nel mondo dello sport, era il presidente della FISU, ma soltanto il vicepresidente del CUSI, presidente a vita del CUS Torino, erede in linea diretta di Saini e dei suoi Mondiali universitari del 1933 con le Universiadi del 1959, già estromesso dal Consiglio federale tre anni prima al Congresso di Bari. Primo era per me un amico cui sentivo di poter fare una proposta del tutto personale, che altri difficilmente avrebbero preliminarmente condiviso. 

E fu così che mi presentai a sorpresa a quel Congresso che coronava il successo di Ignazio Lojacono, autore del doppio riconoscimento del CUSI anche quale Federazione di associazioni sportive dilettantistiche con statuto approvato con decreto del Presidente della Repubblica giusto il 30 aprile del 1968. Scesi dall’alto dell’aula e andai difilato al tavolo della presidenza, chiedendo a Nebiolo di raggiungermi prima possibile. Lo attendevo in cima alle gradinate, accanto alla rastrelliera ricolma di cappotti e borse, il giusto informale separé dietro il quale cambiò il mondo dell’atletica e non solo per i successivi trent’anni. 

Io fui molto diretto e gli dissi: “Primo, te la senti di fare il presidente della FIDAL?”. Lui, dopo qualche attimo di esitazione, mi fece: “Ma dici sul serio? Qui, adesso,

cosi…?”. Io replicai: “Con quelli del Rinnovamento facciamo una riunione a Reggio Emilia e dobbiamo scegliere un candidato presidente. Per me tu sei quello giusto”. Nebiolo, ancora: “Ruggero, ma sei sicuro?”. Il mio era puro azzardo, salvo i voti dell’AICS e quelli del CUSI, che confidavo sostenessero il loro rappresentante nonostante la clamorosa precedente diaspora con Primavori. Nebiolo mi strinse la mano e ridiscese tra i cussini, mentre io svicolavo verso l’uscita, verso un treno che mi avrebbe condotto appunto a Reggio Emilia in compagnia di Enzo Rossi che perorava la candidatura di Casciotti. 

Mi toccò fare l’indiano per tutto il tempo, fino a quando, a margine delle gare di soli lanci e salti, si tenne la storica riunione per il pronunciamento. In un clima teso, sovraccarico di punti interrogativi, con una corda prossima ad una possibile rottura, chiesi di proposito la parola per primo e non nascondo il travaglio del dover deludere un amico come Giampiero Casciotti o un maestro come il “profeta” Alfredo Berra, ormai affermato professionista alla rosea, piuttosto che il super manager Giani o lo stimatissimo colonnello della Finanza Montanari. 

Alla fine di un ragionamento impostato sul coraggio di dover cambiare e dover scegliere una figura capace di riposizionare la Federazione e l’Atletica al centro, come al vertice, del sistema nazionale e internazionale, sulla necessità di ambire senza riserve o condizionamenti di sorta, dissi temerariamente: “Ebbene, cari amici, la persona che risponde a questi requisiti irrinunciabili è soltanto una ed è Primo Nebiolo”. Ne seguì il silenzio, forse levitò in aria un condiviso spirito di sollievo, perché nessuno dei presenti si sentì privilegiare, ma nemmeno sminuire rispetto agli altri. 

Diciamo che avevo anche tolto la classica castagna dal fuoco e che nessuno ritenne di mettere in discussione questa mia proposta, forse perché le percentuali del successo in quel momento non erano percepite come scontate, atteggiamento che portò nella notte tra il 22 e 23 febbraio del 1969 alla rinuncia della candidatura da parte dello stesso Nebiolo, che accettò di fare il cardinale pur essendo virtualmente papa, quando invece il Rinnovamento la mattina successiva sbancò, facendo il pieno con dieci consiglieri nazionali su dodici. 

Poi la storia riservò ulteriori colpi di scena, sino al nuovo Congresso del 7-8 dicembre dello stesso anno, quando il nuovo corso prese l’avvio definitivo…