Se il BULLISMO è fenomeno si devastante da equivalere al cancro del terrorismo, per i danni immediati e le conseguenze future. Se l’integrazione viene vanificata dallo stesso fenomeno universale, IL BULLISMO, datato e caratterizzato, come è nella cronaca degli ultimi due secoli. Se parte della storia criminale e dello stravolgimento dei valori dello sport passa attraverso il tifo violento. Se le patologie mentali transitano tutte in qualche modo attraverso la esemplificazione della depressione. Se una delle cause di questo è il bullismo in tutte le sue possibili declinazioni, allora possiamo finalmente pensare di aver trovato la radice di tutti i mali e che finanche i califfati di ritorno sono episodi di bullismo o le conseguenze di ciò. Del resto, ogni forma spregevole di violenza gratuita e non solo, sino alla guerra di sopraffazione, economica o militare non è altro che BULLISMO. Quello che vi ripropongo a parte con un videoclip dell’Orchestraccia, un video dedicato all’autore illuminato di “Gigi er Bullo”, Ettore Petrolini, non è altro che un vezzo domenicale, un modo per far capire che forse questo fenomeno non dovrebbe essere confinato nell’umorismo da caserma e da collegio, sottostimato come il “nonnismo”, ma è questione seria, in primis delle famiglie, ma poi senza sconti per la UE, per i singoli governi, per la scuola , la magistratura e non ultimo i legislatori e la Commissione Europea, che dovrebbero dare più peso all’argomento e non pensare di cavarsela con il gioioso “bandificio” che sforna gli Erasmus e altre iniziative forse ormai distoniche e distanti dai problemi reali, che minano le attuali future giovani generazioni, che di europeo hanno solo un profilo formale, ma che con la globalizzazione mediatica sono ormai da tempo un’altra cosa, una comunità complessa e in buona parte imprevedibile . Concludo, comunque, con un omaggio al grande Ettore Petrolini: ecco il testo di GIGI ER BULLO…:
“C’è chi dice ch’io so’ un prepotente
perchè so’ un bullo dar gaiardo e bello
ma nun m’importa, nun me serve gnente,
chi vo’ parlà co’ me, cacci er cortello.
So’ conosciuto a ‘gni commissariato,
a Trevi, a Ponte, ar Celio, ar Viminale,
all’Isola ciò fatto er noviziato
e adesso ognuno m’ha da rispettà.
Chi è che nun conosce Giggi er bullo?
Eh! N’ha parlato tanto er Messaggero,
dico ‘gni sempre er vero, nun dico impunità.
Si nomini Giggetto, pe’ l’urione,
la gente ha da tremà.
Ce n’ho mandati tanti all’ospedale,
ma tanti, che nun se sa.
Eppoi nun avete mai letto sur Messaggero, su la Tribuna, sur Giornale d’Italia e su tutti l’antri giornali de Roma e dell’altri paesi i ferimenti der solito sconosciuto? Mbè er solito sconosciuto chi era? Ero io! So’ sempre io er solito ignoto della notte. Io so’ ammonito e sorveiato, so’ stato dodici o tredici vorte carcerato e ar manico- mio criminale. E mica me vergogno de dillo, pe’ gnente, anzi me n’avanto – è per questo che le ragazze me vonno bbene – per- chè s’accorgono che ciò un po’ de fegato. A me m’hanno da lascià perde, perchè io puzzo, e puzzo forte. Io divento ‘na pecorella solo quanno vedo la mi’ ragazza, se chiama Nunziatina la Fardona, e tutte le sere tra er lusco e bru- sco, le fronne ar fresco vado sotto le finestre de casa sua e je canto sta canzona qui che mo ve fo sentì. (Al maestro di musi- ca:) Attacca Carcido’.
Ciavete li riccetti
fatti a molla
drento c’è er pidocchietto
che ce balla
drento c’è er pidocchietto
che ce balla
la cimice ce faaa
la sentinella
‘Na sera pe Bettina la Zinnona,
n’affrontai de’ rivali, nun se sa quanti.
S’incontrassimo giù pe’ Tordinona
io je dissi: aò fateve avanti.
Fateve avanti, che a litigà ce godo,
ve voio fà na panza, uno per uno,
da falla diventà ‘no scolabrodo.
Giggetto n’ha paura de nissuno!
Me so’ buttato in mezzo, cor cortello,
volevo falli a pezzi tutti quanti
ma quelli lì erano in tanti
a me me toccò abbozzà.
Ciò preso, è vero, quarche cortellata
ma l’ho lassati annà
perchè la squadra s’era avvicinata
nun li potetti fà.
‘Sti boiacci, infamoni, carognoni, ammazzarono er morto! S’approfittarono de me perchè ero solo. Erano in cinquanta, me se buttarono addosso, me ridussero un San Lazzero che quanno me portarono all’Ospedale, ar pronto soccorso, ce vollero dieci gnumeretti de fil de ferro per ricucimme tutto. Ma m’hanno da capità! Er primo che me vie’ davanti je do un carcio in panza da fallo arrivà in cielo, che si nun passa De Pinedo, co’ ‘na pagnottella imbottita, ha da morì de fame quanto è vero Dio. Fecero ‘no sforzo! E poi in quer momento passava er delegato, con il quale c’è una specie d’incompatibilità de carattere per- chè dice ch’io nun lavoro e frequento cattive amicizie. Ciò provato a lavorà, m’ero messo in società con un amico che lavorava. Avevamo aperto una fabbrica di letti in ferro vuoto. Lui metteva er ferro… io mettevo er voto… Poi ciavevo un carissimo amico che adesso sta in galera perchè ha ammazzato la moie e poi l’ha fatta a pezzi. Lei da viva je lo diceva sempre: io te vojo tanto bene, che per te me farebbe fà a pezzi… Mbè, lui ce l’ha fatta e l’hanno carcerato.Ma è giustizia questa? ‘N’antra vorta m’hanno carcerato perchè, dicono, ho rubbato ‘na forma de formaggio da grattare. Davanti ar pizzicarolo c’era un cartello con sopra scritto: Formaggio da grattare. Io me lo so’ grattato… L’altro giorno sono andato da Faraglia pe’ pijamme una tazza de caffè, pe’ riscallamme la bocca de lo stommaco. Due lire! Due lire un caffè, detto da un omo come me, senza aveje fatto niente de male. Gli ho chiesto: come mai così caro? M’ha risposto: la tassa sul lusso. E stavo vestito così… Domani ce vojo annà co’ ‘na foja de fico. Vojo vedè quanto me fanno pagà. Ma Iddio è giusto. Iddio l’ha gastigati. (Toglie dalla tasca la tazzina da caffè, il piat- tino e il cucchiaino.) C’era scritto compreso er servizio. (Al maestro di musica:) Attacca, Giovacchì, che se ne annamo.
Affaccete alla finestra
o grugno sfranto
der bene mio conoschi
er sentimento
der bene mio conoschi
er sentimento
tu pagheme da beve
ch’io t’amo tanto.
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